Un mese fa, a Dallas…

Giorno 1- arrivo
Che cosa fa una italiana quando viene invitata a un matrimonio persiano a Dallas? Beh, per prima cosa accetta, perché la sposa è la figlia di una cara amica. Poi compra il vestito. Meglio, i vestiti. Uno per la cerimonia, ovviamente, uno per la cena della sera precedente alle nozze e uno di riserva: non si sa mai. Con i vestiti vanno le scarpe, non è nemmeno il caso di dirlo, e le borsette eleganti. Perfetto, si parte! Peccato che, all’arrivo in aeroporto, una chiamata dalla Lutfthansa avvisi che le valigie… non sono arrivate. Né arriveranno fino al giorno dopo, in tarda serata. Che fare? L’amica texana, il cui armadio è fornito come un negozio di Max Mara di media grandezza, e ha più o meno la stessa superficie, non si (ci) lascia prendere dal panico. Che sarà mai, un vestito elegante si trova per tutte (me, mia figlia e la mia amica Anna). Però, però… io e Anna abbiamo il 35 di piede, quindi nessuna scarpa può andarci bene. Che sarà mai, dice l’amica, facciamo un salto da Neiman Marcus che ha anche i saldi. Prezzo medio di base di una decollate o di un sandalo come si deve: dai 1000 ai 1500 dollari. Con lo sconto scendiamo a 7/900. L’amica texana vede le nostre facce, il pallore improvviso di piemontesi, e decide di cambiare negozio. Recuperate un paio di décolleté per le due cenerentole dal piedino minuscolo, facciamo un salto da Target – una specie di Upim, ma mooolto più grande – per pigiami, mutande (anche le cenerentole le devono cambiare) dentifricio e spazzolino. Poi, a casa per una cena veloce a base di riso e pollo alla melagrana prima di svenire nel letto. Dimenticavo: la casa è di 1300 metri quadri (milletrecento, avete letto bene). Pechè negli Usa, e in particolare Dallas, tutto è più grande.
Giorno 2 – un giro al museo
La valigia, ovviamente, non è arrivata in tempo: per qualche miracolosa congiunzione astrale io avevo infilato nel trolley a mano il vestito di velluto rosso di Chiara Boni (e che Dio benedica il fatto che quegli abiti non si stropiccino!). Sara – mia figlia – e Anna – l’amica italiana – hanno davvero trovato nel guardaroba di Sogand qualcosa da indossare. Il mancato arrivo di bagagli viene vissuto come una avventura divertente, e la caccia al vestito nel suo armadio – definizione riduttiva per una stanza in cui solo gli scaffali per le scarpe e le visiere da tennis sono grandi come tutti i miei armadi a casa a Milano – ci ha fatto un po’ sentire 30% Pretty woman, 30% bambine che provano i vestiti della mamma. Fa solo 60%? Ok, il 40% restante ci sentivamo un po’ sfigate pensando a tutti i nostri preparativi e alle nostre valigie in giro per il mondo,raminghe e solette. Ma non si vive di sole frivolezze (e uova e pancetta a colazione): anche di cultura esige la sua parte di tempo. Si impone una visita al museo di arte di Dallas dove si svolgerà la cerimonia e la cena di nozze. Ovviamente la nostra amica è nel consiglio del museo, quindi ci accompagnano due dei curatori. Uno degli infiniti privilegi di questa stupefacente vacanza: con loro ogni quadro ha una storia, ogni dettaglio un significato. Qui, fra i codici miniati della arte islamica, i Canaletto e gli allievi del Caravaggio spiccano una quarantina di capolavori dell’impressionismo francese, donati da Margaret McDermott, vedova del fondatore della Texas Instrument. Quadri che illuminano le stanze con la loro magia: ma è bellissimo pensare che delle persone li lascino a un museo in modo che tanti altri ne possano godere. D’altra parte, chi non ha una decina di impressionisti francesi? Come detto, qui a Dallas è tutto più grande…

Giorno 3 – le nozze
Così, tra una visita al museo dove si svolgerà la cerimonia, una corsa all’aeroporto per vedere se sono arrivate le nostre valigie (che arrivano poi nella notte prima della cerimonia) e la cena pre matrimonio arriva finalmente il giorno delle nozze. Che inizia con la mia prima Limousine, con tanto di champagne di fianco al sedile. Gli sposi sono bellissimi, la mia amica raggiante. Entra accompagnando la figlia sulle note della Carmen di Bizet: come spiegherà poi la prima opera che hanno visto e ascoltato insieme. Un anno esatto è passato dal la morte del padre e marito, e questo giorno è per tutti l’inizio di un nuovo ciclo di vita, che lascia il lutto per abbracciare la gioia. Vedendole avanzare non riesco a trattenere la commozione: ma i soli fazzoletti che ho sono quelli da nonna, con i disegni dei cartoni animati, così mi trovo, tra abiti di Dior e di Marchesa, a soffiarmi il naso in compagnia di Minnie e Topolino. Il mio vestito, che mi sembrava così elegante a Milano, qui è quasi low-profile. Il rito, civile e zoroastriano, si svolge davanti a una tavola con tutti i simboli del futuro benessere degli sposi: monete per la ricchezza, un libro di poesie per la saggezza, le noci per la longevità e le melegrane per l’abbondanza. Le damigelle a turno grattugiano dello zucchero sulla testa degli sposi (fortunatamente protetta da un velo) perché la loro vita sia dolce. Poi, i discorsi delle due mamme e le danze. Il cibo non ha molta importanza qui, è quasi una faccenda da sbrigare in fretta prima di divertirsi davvero. Si balla con la band rock, si balla con il disk jockey persiano, si balla con il coltello in mano prima del taglio della torta. Infine, tutti con una campanella in mano per salutare gli sposi aguzzando loro, con quel suono argentino, tutta la felicità possibile.