soffritti, lacrime e… la storia di petronilla

Mia figlia Sara si arrabbia quando non le dò una ricetta: lei prepara dolci buonissimi ma con grande attenzione al peso degli ingredienti; io non so come spiegarle che non peso molto, tranne la pasta, perché vado come di dice “a occhio”. Si dice che, come le fortune, anche le abilità culinarie saltino una generazione: nel caso della nostra famiglia era vero, mia mamma una frana mentre la nonna era bravissima in cucina…ma non aveva il suo libro di ricette, lei cucinava e basta, spiegando con l’esempio quello che faceva. Prima che la tv diventasse un continuo alternarsi di soffritti di cipolla e lacrime di coccodrillo, prima che chef stellati e casalinghe intraprendenti invadessero con le padelle il piccolo schermo e il web, prima che i best seller assoluti a guidare la classifica fossero i libri di ricette, prima della mitica Petronilla le ricette erano, in provincia, solo quelle, temutissime, del medico. Ma la storia di Petronilla, vero nome Amalia Moretti Foggia, (1872/1947) figlia di un farmacista di Mantova, laureata in medicina ma diventata famosa sulle pagine della Domenica del Corriere come il dottor Amal (un medico donna durante il ventennio non sarebbe stato socialmente e culturalmente accettabile) e ancor più famosa come la cuoca Petronilla è davvero qualcosa che vale la pena di raccontare. Prima dei blog di cucina fu la massaia Petronilla, in realtà pediatra e donna di grande cultura che frequentò Anna Kulishoff e scrittrici come Sibilla Aleramo, poetesse come Ada Negri, femminista ante litteram che curò per decenni operaie e prostitute nel suo ambulatorio di Milano, a spiegare alle donne come preparare velocemente un primo o un piatto di carne, come sopperire alla mancanza di ingredienti dovuta alla guerra, al razionamento o alla carenza di tempo e denaro. E come tornare a fare della tavola, che si stava trasformando da grande convivio di folte tribù famigliari a momento di riunione delle minuscole famiglie del boom economico, il cuore degli affetti. Per farlo, e raccontare le sue ricette sempre condite da un commento agrodolce, si inventa una famiglia che non ha: i ragazzi, dei figli mai nati (a causa di una brutta infiammazione le viene asportato, giovanissima, l’utero), una servetta che porta in tavola i piatti finiti, i “fittavoli” che regalano frutta e verdura da ottimizzare conservare e persino delle capacità di cuoca che decisamente, non le appartengono; mentre da tante ricette fa capolino l’eredità del farmacista nell’uso delle erbe e delle pozioni. Consiglia alle lettrici perplesse i condimenti in scatola; spiega come economizzare su pasta e olio razionati per la guerra, ma anche come economizzare tout court; suggerisce di “non lesinare sorrisi e salamelecchi a pescivendoli e macellai” per essere servite con riguardo; pubblica ricette destinate a rimanere “un segreto” fra lei e le (migliaia) di lettrici e che sempre si concludono con il lieto fine di mariti satolli che mandano baci o amiche sorprese e ammirate dalla riuscita di un dolce. Certo, “una buona colazioncina di grande confidenza” per lei si compone sempre di un primo, riso o pasta, di un secondi carne o pesce, di un piatto di formaggi misti, frutta o dolce e caffè… e tutti ben cucinati e altrettanto ben presentati seguendo, ovviamente, i suoi consigli. Fa tristezza non trovare sue foto, se non un volto in bianco e nero sgranato; vedere che quando si digita Petronilla- immagini i primi risultati sono le foto di una pentola a pressione a cui era stato dato il suo nome: ma Alessandra De Vizzi e Roberta Schira le hanno dedicato un libro (Salani) che ripercorre la storia di questa donna straordinaria, che meriterebbe decisamente più delle attenzioni e dei ricordi che ha.