Sanpa tra fiction e realtà

Ho aspettato a scrivere di Sanpa, il documentario in onda su Netflix dedicato a Muccioli e alla comunità da lui creata a San Patrignano, perché quello della droga e della disintossicazione è un tema difficile e delicato. La serie, come è il dovere in qualche modo dei programmi televisivi, che nascono per fare ascolto, spettacolarizza, anche se con attenzione e pudore, alcuni aspetti estremi di quella esperienza, di quella realtà. Certamente è un documento importante su un periodo – su una emergenza che, però, non è certo finita. Alla fine (e dopo aver prima consigliato e poi sconsigliato Bridgeton sono stata bene attenta a vederlo tutto prima di parlarne) ho sospeso il giudizio. Così come il programma ha in qualche modo sospeso il giudizio su Muccioli, pur documentando alcune accuse e insinuando altre. Per capire di più, mi sono fatta aiutare da Angela Iantosca, collega e da anni addentro al tema (tra l’altro collabora al progetto WeFree di prevenzione alle tossicodipendenze della comunità di Coriano), il cui giudizio è decisamente più acuto del mio. “Una storia che ha dato buoni risultati, dice Angela, non si può riassumere con un omicidio, due suicidi e le catene. Senza specificare ciò che è stato ed è San Patrignano nella sua totalità, senza raccontare cosa è cambiato, a cominciare dal fatto che allora entravano i ragazzi ancora sotto droga, con tutto ciò che questo significa, mentre oggi non si entra più da tossici in comunità. Ma quello che mi colpisce è che ora si parla moltissimo della serie e ancora una volta si sfugge dal tema che è la droga, tema rispetto al quale mi sento sempre dire che è pesante, mentre continua ad essere drammatico, basta pensare che l’Italia è prima in Europa per uso di cocaina. Al dai là degli errori, dei metodi controversi, Muccioli è stata una persona che ha aiutato persone in difficoltà e che ha fatto del bene. E non vorrei che le accuse diventassero un alibi per non fare, la paura di quello che si è visto diventasse un pregiudizio contro le comunità che funzionano, che devono continuare a vivere e che hanno bisogno di un grande supporto. Ecco, mi piacerebbe vedere la stessa indignazione che sto leggendo ovunque per il fatto che dal 1975 a oggi sono morte di overdose più di 25mila persone, che l’età media si è abbassata, che il 34% dei ragazzi delle scuole superiori fa uso di sostanze, che dilagano le Nuove sostanze psicoattive… Mi piacerebbe leggere la stessa indignazione che vedo contro il programma o contro la comunità nei confronti di chi vuole legalizzare la cocaina”.
Il documentario, come avete visto, ha creato grande dibattito; da un punto di vista prettamente televisivo è interessante e ben fatto: ma credo che la testimonianza di Angela Iantosca aggiunga un dato e un punto di vista necessari rispetto a un tema come questo. Parlare solo di ascolto, di montaggio odi linguaggio televisivo mi sembrava decisamente riduttivo con un tema così. Grazie della attenzione, questa volta più che mai.