rivoglio la mia milano!

Sono tornata dopo tre mesi a Milano, la mia città d’adozione, dove vivo da quando avevo diciotto anni (già, tra poco festeggeremo i 50 anni insieme…). L’avevo lasciata il 6 marzo, viva, attenta, solo vagamente intimorita da questo strano virus, che, improvvisamente, mi ha poi bloccata lontana da lei. La ritrovo colpita, ferita, rallentata: e tutti mi dicono che, rispetto a qualche settimana fa, è già rinata. Non so perché mi è tornato in mente un racconto di mia madre, arrivata qui in treno nei giorni dopo la  fine della guerra per cercare non ricordo bene quale cugino. Raccontava delle macerie, delle case sventrate, dei lampadari appesi sul nulla, delle pareti con la carta da parati esposta alle intemperie o con incongrue piastrelle a definire un bagno che non c’era più. Non c’è nulla di tutto questo, nella Milano che ho ritrovato: ma c’è qualcosa di strano e sinistro nei negozi chiusi, nella febbre provata a ogni ingresso, nei segnali sul terreno di dove entrare o uscire, nelle strisce bianche e rosse a definire spazi proibiti, nelle persone con gli occhi a terra. Rivoglio la mia metro piena di gente, la calca, le corse: ridatemi la mia città infaticabile, miscuglio di persone e idee, accogliente, calda. Sono strane queste macerie rimaste in piedi: queste serrande abbassate, questo pudore del non lavoro. Ho rivisto le mie amiche, sono stata in uno studio tv: piano piano, tutto si rimetterà in moto e torneremo a correre, a ridere, a fare progetti. Ma ho tanta nostalgia della mia Milano magica.