questa volta vi parlo un po’ di me (ma perché di solito che faccio?!?)

Voi vi chiedete mai che senso ha quello che fate? Io tre volte al giorno, in media. Di solito per dirmi che quello che sto facendo non ha senso. Non parliamone neppure in questo periodo, in cui davvero nulla sembrava avere più il senso che aveva prima. Ma visto che con questo blog ho iniziato un rapporto con alcune di voi, parecchie, molto di più di quelle che mi sarei mai aspettata, qualche spiegazione ve la devo. Sperando, in questo modo, di chiarire le idee anche a me stessa. Ho voluto questo blog per raccontare noi nonne: discriminate nelle immagini, dipinte come delle fragili e innocue – quando va bene – o dannose – quando va male – vecchiettine, dentiera traballante, crocchia di capelli bianchi bassa sul collo e grembiule stretto in vita che non si vedono più nemmeno nelle pubblicità siciliane di Dolce&Gabbana. Figurarsi nella realtà. Insomma, volevo raccontare noi nonne un po’ pop, felici di quello che abbiamo – tanto – e di questa meravigliosa fetta di vita che ci attende. O che ci attendeva? Infatti, fino a tre mesi fa, è stata così: mostre, cinema, incontri e confronti, e, più importante di tutto, viaggi. Viaggi come esperienze, come scambio, come modo di godersi la vita dopo una vita (scusate la ripetizione) di lavoro. Perché noi donne della generazione del baby boom, orgogliose del nostro lavoro e del nostro contributo, abbiamo vissuto le nostre professioni come una occasione, come un privilegio, coscienti di essere delle privilegiate, a cui comunque non è stato regalato nulla; ci siamo dovute, direi giustamente, guadagnare tutto. Così, avevo iniziato a raccontare questa vita meravigliosa, rivendicandone il diritto, ma invitando a riconoscere il privilegio di questi anni, a non lamentarsi e piagnucolare dei doloretti e di quello che non va, di quello che non abbiamo avuto, a non preoccuparsi di come sarà il futuro per godersi il presente quando, improvvisamente… tutto si è fermato. Una bella occasione per riflettere sulle cose veramente importanti, su quello che conta davvero: la salute, gli affetti, l’amicizia. E se per un po’ non potrò sedermi sulla poltrona del presidente degli Stati Uniti, quella accanto alla quale mi vedete nella foto sopra, al George Bush Center a Dallas, intanto sarò felice di tornare a Milano, alla mia città e alla mia casa che non vedo da tre mesi. Per riprendere i fili di una vita che, grazie a Dio, come abbiamo imparato duramente, è bella anche solo perché è vita.