Petra dura come… bones

Ho molto amato i romanzi di Alicia Jimenes-Bartlett, la scrittrice spagnola che ha creato il personaggio di Petra Delicado, ispettrice della polizia di Barcellona dal carattere a forti contrasti come il suo nome: da una parte dura come la roccia, durezza esibita in ogni espressione, dall’altra sensibile, ma accuratamente nascosta. Così, come sempre, fedele al detto che “spesso il film fa rimpiangere il libro, e spesso il libro fa rimpiangere l’albero” solo dopo un po’ di settimane mi sono decisa a guardare la “Petra” di Paola Cortellesi nella serie di Netflix. Lo sfondo non è più – purtroppo – la Barcellona del mare e dei bar, delle ramblas e delle viette, ma una Genova un po’ cupa, elegante, fra carrugi e la gelida sede della polizia. Dove troviamo una altrettanto gelida e introversa Petra, al lavoro nell’archivio (per inciso, anche la sua casa è asettica e vuota, malgrado vi abbia traslocato da due anni). Un caso urgente di violenza la riporta sul campo, accanto o, per essere più precisi, a capo, al collega Antonio Monte. Il contrasto fra lo stile investigativo, il linguaggio, il comportamento dei due è ricalcato su quello della Petra originale con il suo Fermin, ma già dal primo episodio di intuisce che i rapporti diverranno via via più cordiali. Ascolti record per la serie hanno premiato Sky, e il talento della Cortellesi è evidente; in qualche modo però la sua caratterizzazione del personaggio mi ricorda un po’ la protagonista della serie televisiva Bones, Temperance (anche qui un nome, un programma), la antropologa forense dalla curiosa psicologia: disfunzionale, ha grossi problemi con le metafore, la empatia, incapace di esprimere i propri sentimenti tanto quanto di capire quelli di chi la circonda.