Parole al vento. o forse no.

Come nelle famiglie felici e infelici di Tolstoj in Anna Karenina, i lutti si somigliano tutti e, insieme, non si somigliano affatto. E’ un caso editoriale quello di Quel che affidiamo al vento, (Piemme), il libro di Laura Imai Messina che cuce, attorno a una storia vera, tante storie, piccole e grandi, ciascuna con i suoi dettagli, a volte quei dettagli minuscoli che definiscono una vita, un rapporto. In un giardino giapponese esiste – veramente – una cabina telefonica. Al suo interno, un telefono. Nulla di strano se non che il telefono non è collegato ad alcun filo, non serve per chiamare nessuno, non c’è voce che da una parte sola. La voce di chi ha perso qualcuno e si reca lì, da tutto il Giappone, per parlare con chi non c’è più. Con chi è solo un corpo, con chi è un corpo senza un’anima. Fa riflettere questo libro in cui si confrontano un uomo e una donna che nello tsunami del 2011 hanno perso le persone che amavano di più. Fa riflettere su quelle che l’autrice chiama le addizioni e le sottrazioni della vita. Apre il cuore. Ed è la prova – confortante – che quando i libri parlano al cuore riescono anche a vendere.