Marilyn fra mito e realtà: Blonde su Netflix

Ho aspettato prima di parlare di Blonde, il film evento trasmesso pochi giorni fa da Netflix (e disponibile sulla piattaforma). Ho aspettato perché, sebbene le biografie mi piacciano un sacco, questa non è esattamente un biopic, come vengono definiti i film che ripercorrono la vita di un personaggio. Infatti si ispira a un romanzo di Joyce Carol Oates, una grande scrittrice, che aveva mescolato realtà e finzione in un racconto affascinante.

Il film riprende quella logica, mixando fatti reali – la madre pazza, i matrimoni, gli aborti – e assoluta finzione – le lettere del padre, le relazioni a tre con altri attori. Con un racconto teso, a tratti violento (non ho amato le scene di stupro e la crudezza del rapporto orale con Jack Kennedy), fra colore e bianco e nero, successo e tensioni, sussurri e grida.

Certo, Marilyn è un mito, la bionda per eccellenza, la bimba maltrattata e affidata a famiglie, la giovane donna fragile travolta da un successo tanto più enorme di lei, la moglie infelice, la diva sofferente appesa a rapporti, telefonate, famaci.

Non mi è piaciuto per niente l’uso delle immagini del feto, un vero e proprio bambino del tutto formato, nel narrare degli aborti scelti o subiti; mentre è straordinaria la fusione fra immagini dei suoi film e le riprese di questo.


Che dire? Ana de Armas è bellissima, molto simile alla Monroe, ma non ne ha il sex appeal totale; regala una notevole interpretazione certamente studiata a lungo. Il film dura 2 ore e 46 minuti, nella logica moderna per cui i lungometraggi sono veramente parecchio (forse troppo) lunghi; ha qualche lentezza e qualche deriva cerebrale. Ha diviso la critica fra capolavoro e disgustoso pasticcio. Io mi fermo a metà.


Consiglio comunque di vederlo, poi mi fate sapere? E comunque non sempre le biografie sono le migliori amiche delle ragazze. Non come i diamanti…