L’infinito di Vecchioni: sfidare il destino e imparare a volare

Oh Oh cavallo, Oh oh cavallo, Oh oh… Anna ha tre anni e canta Samarcanda, felicemente inconsapevole del significato della canzone. Una canzone che, oggi, Vecchioni in parte rinnega nel suo disco L’infinito: il destino non esiste, il destino ce lo facciamo noi. Tema su cui riflettere quando inizia un anno nuovo, quando una distesa di giorni tutti da vivere e scrivere si aprono davanti a noi. Un disco con vendite da record senza download, ma, anzi, con una edizione in vinile. Un disco che ha canzoni entusiasmanti come Formidabili quegli anni, e toccanti come quello che parla della perdita di un figlio. Gli confesso, un po’ emozionata, che non riesco a sentirla senza commuovermi ogni volta. Siamo nella zona universitaria di Milano, sotto di noi sferragliano i tram e la gente corre, come sempre in questa città, per andare o tornare. Vecchioni è in Jeans e maglietta, il volto su cui si apre un grande sorriso e gli occhi quasi si chiudono quando cerca le parole. Un volto che si illumina quando parla d’amore – per un periodo della storia, per una persona, che sia Zanardi, a cui ha dedicato una canzone, o Guccini che ha convinto a cantare con lui, per una battuta o una poesia.
Sono tante le donne in questo disco, dalla mamma di Regeni al suo primo amore, da Ayse, la guerrigliera curda, a sua moglie.
“Le mie donne sono sempre tenere e dolci perchè assomigliano tantissimo a mia madre, che era così, ma anche alla mia compagna, Daria, che assomma in sé la dolcezza e la difesa: ammazzerebbe chi parla male di me! Ma allo stesso tempo ha questa forza propulsiva femminile che l’ha portata adesso ad essere la assistente del sindaco di Milano, Sala, alle Pari Opportunità, l’ha portata a tutti quanti possibili incontri femministi. Ma non è fuori di testa, nel senso che non è che per lei esistono solo le donne e gli uomini sono degli str…: non è questo il suo concetto. E io ho avuto la fortuna nella mia vita di incontrare donne splendide, meravigliose”.
Ma chi celebra in un brano del disco, Ogni canzone d’amore?
“Mi piaceva l’idea, tipica dell’innamorato, che tutti i poeti del mondo non possono che aver cantato sempre la mia compagna perché lei è uguale a tutte le donne belle intelligenti e buone del mondo. E’ un madrigale”.
Che conclude cantando “Perché ho seri dubbi di essere eterno”.
“Una ironia d’amore: mi piacerebbe essere eterno per te e invece devi baciarmi adesso perché non so quanto tempo ci resta. Il poeta inglese Coleridge aveva fatto scrivere sulla sua tomba “io so benissimo che tutti dobbiamo morire ma spero che per me si faccia una eccezione”. Tutto parte da lì”.
Zanardi ha ascoltato la canzone a lui dedicata nel disco con la moglie; Guccini ha accettato di duettare in “Ti insegnerò a volare” grazie alla moglie… sempre le donne protagoniste?
“Raffaella, la moglie di Guccini, è stata la protagonista di questo ritorno: prima di Francesco ho parlato a lungo con lei, il disco lo abbiamo sentito insieme e lei si è commossa tantissimo e sì, la sua è stata una intercessione. Poi lui ha detto “non si fanno più questi dischi qua vorrei starci anche io”. Ed è una frase bellissima che ricorderò tutta la vita”
Era a Guccini che una volta lei aveva chiesto “perché cantiamo?”
“Qualche anno fa, eravamo a Pavana, dove lui ha una casetta di 4 mura, in questo paesino di 6 abitanti, e io ero ubriaco, forse anche un po’ stufo, e gli ho chiesto “perché cantiamo?” e lui mi ha risposto “perché parlare non basta”. Parlare basta quando si comunica, ma quando si vogliono evocare dei sentimenti bisogna fare musica”.
Un’altra curiosità: nella copertina del disco si mostra più vecchio e più brutto di quanto non sia dal vero: è un vezzo, una provocazione?
“Una scelta. Oliviero Toscani per la foto mi ha detto “vieni con la barba lunga, senza capelli”. Secondo me devi fare vedere l’età, fare vedere che sei pieno di te, in senso di contentezza, di vita, senza trucchi; non volevo una foto con tutti gli orpelli, i sorrisi”.
Eppure è un disco positivo, che in Formidabili quegli anni ricorda in leggerezza anche anni difficili e fantastici, quelli del 68, anni in cui, dice, “eravamo i primi della classi in un amore immaginato”. Eravate davvero così?
“È vero, eravamo tutti così. Eravamo anche un po’ coglioni. Ma nella canzone ci sono anche le ragazze travolgenti perchè le ragazze non scherzavano niente in quegli anni settanta, non si mettevano certo lì in un angolino. Ci travolgevano le ragazze… creando anche qualche problema di ansia da prestazione” (ride).
Un’altra canzone, Ma tu, riunisce due amori, il primo e l’ultimo.
“Una canzone che è quasi un film. Io mi addormento e sogno la mia prima ragazza, e sogno di dirle che l’amore di allora era bello, fantastico, quello di luci a san Siro, però era da ragazzini. E che l’amore vero è un’altra cosa: quello che viene con la coscienza delle guerre delle sconfitte”.
L’amore cos’è?
“È quello lungo e silenzioso, quello lento. La passione è un fulmine che brucia, è l’eros che ha fatto impazzire migliaia di poeti, è il dramma che porta alla solitudine disperata, alla tisi, al suicidio. Invece l’amore è una cosa che non brucia in un attimo, è una cosa lunghissima, è alta di valore, e c’è ugualmente passione, ma non è sempre solo passione e il resto è silenzio. No, è passione e partecipazione, disposizione. Quando ero ragazzo ci si rifletteva sempre nell’amore, si vedeva nell’altro una parte di noi, si voleva che l’altro fosse a disposizione nostra. Poi si impara che non è così. Si impara che l’altro ha una sua vita, una sua caratteristica. Si impara a dire “Ti amo come sei”. Mia moglie è una donna che sprizza energia, per me è stato un onore avere una donna così che ha deciso di starmi vicino. Un grande onore. Io sono noto per tante cose, sono popolare, ma non è quello che conta. La nostra mi sembra la storia dei due barbieri uno di fronte all’altro in una stessa strada: e uno ha scritto sulla sua insegna “Il miglior barbiere del mondo”. E l’altro allora ha scritto sulla sua insegna “il miglior barbiere di questa via”. Ed è come dire la storia di mia moglie e la mia”.
Infine: lei ha scritto Samarcanda – chi non ricorda “oh oh cavallo”? – in cui il cavaliere galoppa verso la morte, un destino inevitabile; in questo disco, invece, incita a sfidare il destino…
“Ma quella di Samarcanda è una favola, un mito che viene raccontato in tutte le culture, dalla Siberia all’Arabia. Ma oggi come oggi non devi nemmeno pensarci che la morte ti posa infinocchiare. Contro il destino ci si batte: tu sei in macchina, lui si aggrappa ai vetri, tu continua ad andare, fai finta di niente fino a quando lui mollerà il colpo e lo vedrai a terra, lontano, dallo specchietto retrovisore”.