un salto nel passato, in arizona, per affrontare il presente

Che cosa c’è di meglio di avere una famiglia? Averne due, una di qua e una di là dall’Oceano. La storia della nostra famiglia – sopra nella foto io e mia cugina Margaret, mia coetanea (è evidente che negli Usa hanno mangiato più carne e sono cresciuti un tantino di più…) è davvero curiosa. Ed è una storia per  certi versi comune a tante famiglie due generazioni fa, per altri davvero originale. Mio nonno era uno dei ragazzi dell’89, inteso come 1889; uno dei dodici figli di una famiglia contadina in Piemonte. Correva l’anno 1906 e lui, a sedici anni, è partito per cercare lavoro negli USA. Non era stata una scelta, ma una imposizione: in casa stavano tutti, letteralmente, morendo di fame. non sappiamo come avesse raccolto i soldi per il viaggio in nave, e nemmeno come fosse andato: quello che lui diceva, quando si parlava della America, era “forget it”, dimentica. Ne parlava poco, ma raccontava di essere stato molto fortunato perché il viaggio doveva essere pagato in anticipo: molti, però, venivano abbandonati in qualche isola, la Sardegna, l’Elba, e la nave ripartiva per un viaggio nuovo. Altri, i più sfortunati, venivano buttati a mare. Difficile per i parenti averne notizie se non molte settimane dopo, e comunque era un rischio da correre. Lui, diceva sempre, era stato fortunato. Era arrivato a New York , quarantenato a Ellis Island, infine accettato. Non sappiamo come, o grazie a chi,fosse finito in Arizona, a lavorare in una miniera: sono stata a vedere quel posto, dove gli scavi erano stati così imponenti che il paese lentamente ma inesorabilmente è scivolato spostandosi molto più in basso della collocazione originale. Nella miniera c’è anche un filmato in cui si vede lui, in mezzo ad altri, e si vedono anche i cubicoli in cui venivano costretti a scendere, stretti fisicamente, quasi impediti a respirare, con il costante pericolo di un incendio o di un crollo, con cui avrebbero fatto la fine dei topi. Ragazzo intelligente, non solo decise di voler restare il meno possibile in quella situazione, ma capi anche che per quegli uomini solo e distrutti dal lavoro la cosa più semplice e sana con cui nutrirsi era il latte, così con i suoi  risparmi ottenuti con enormi sacrifici, apri una latteria, quella che vedete dietro a me e a Margaret. Non appena capi che la attività poteva rendere chiamò per aiutarlo un fratello e due cugini. Consegnavano il latte a questi uomini sfiancati dal lavoro, ma anche alle tantissime rprotitute delle case di tolleranza che prosperavano in mezzo a tanti maschi soli e disperati. La latteria andava bene, rendeva bene, ma c’era un problema. Nella stessa zona una famiglia svizzera aveva iniziato la stessa attività. La concorrenza era pericolosa, che fare? La soluzione venne trovata in maniera brillante e risolutiva: la famiglia Svizzera aveva tre figlie femmine, loro erano tre maschi in età da matrimonio, e fu fatta: unirono destini, case e attività, fecero cartello e prosperarono. I matrimoni non furono esattamente dei più felici, ma nemmeno troppo infelici. La latteria divenne un ranch, poi un negozio di articoli per cowboy, poi un supermarket, un hotel… ma avviato tutto a mio nonno rimaneva la nostalgia di casa: cedette le sue quote a fratello e cugino per un anticipo con il patto che, se le cose fossero continuate ad andare bene, gli avrebbero pagato il saldo. Tornò, e non ci spiego mai perché. Tornò comunque benestante, tanto da sposare la più bella ragazza del paese vicino; da portarla in viaggio di nozze – nel frattempo si erano fatti gli anni venti – a Roma, a Venezia, a Merano dove un fratello aveva aperto un hotel. Il tutto a bordo di una delle pochissime auto che,ovviamente, si era fatto spedire dagli Stati Uniti. Ecco, ripenso a questa storia, a questa vita, in questi giorni in cui tutto ci sembra difficile, e sembra di essere divorati dalla ansia. Ripenso a mia nonna, rimasta orfana bambina quando la madre era morta a causa della epidemia di spagnola, testimone di due guerre mondiali, di tanta fame, povertà e paura: e penso al suo coraggio, al suo buonumore, al suo sorriso, alla voglia di godersi ogni cosa, un viaggio, un piatto, persino la cipria che, di nascosto alle figlie, almeno lei così credeva, mi faceva comprare a Milano. E cerco il coraggio di affrontare questi giorni…