La scuola ideale: un sogno o un incubo?

Ho molto amato (anche se mi aveva fatto un po’ di paura) il primo libro di Christina Dalcher, Vox: si immaginava un mondo in cui le donne non potessero studiare, e nemmeno pronunciare liberamente oltre un certo numero di parole. Un mondo distopico, come dicono le mie amiche che sanno di queste cose, simile nell’effetto claustrofobico al “Racconto dell’ancella”. Ora la editrice Nord pubblica un nuovo volume della Dalcher, intitolato “La classe”, decisamente interessante perché, in qualche modo, ancora più vicino alla realtà e, quindi, quasi ancora più spaventoso. L’autrice immagina un mondo in cui tutto venga regolato da un complesso algoritmo che, a partire dal quoziente intellettivo, sia dei bambini che dei genitori, e in un crescendo di complessità di fattori, porti a dividere agli alunni, dalla prima infanzia, in scuole di tre diversi livelli: per i super intelligenti, i medi, e quelli che prestano problemi di apprendimento (o di altro genere, si scoprirà). Addirittura immagina degli esami prenatali che prevedano il quoziente intellettivo del bambino, classificando i punteggi più bassi come una malformazione di fronte alla quale i genitori possano scegliere se portare avanti o meno la gravidanza. La protagonista, la mia omonima Elena, è una professoressa di talento con una figlia geniale, la maggiore, e una secondogenita meno dotata della prima. Quando la piccola, di 9 anni, verrà scartata dalle scuole “buone” dovrà prendere delle decisioni importanti e scoprirà che…

Ovviamente non posso svelare come continua il racconto: ma mi ha fatto tornare in mente la importanza che le mie amiche americane attribuiscono alle scuole frequentate dai figli, a partire dagli asili nido; al fatto che, come dicono, non importa ciò che conosci ma chi conosci; a come alcune università vengono definite “da perdenti” – e sono università! In Italia, finora, ho sempre solo sentito qualche discorso un po’ snobistico su licei prestigiosi e università che facilitano l’ingresso al mondo del lavoro.

Insomma, un libro interessante, che fa riflettere anche su queste frange di rigoristi scatenati che rivendicano presunte superiorità di razze per nascita o colore. Perché, come dice la autrice in una intervista, la storia ha la fastidiosa caratteristica di ripetersi, e non sempre per il meglio. Come questa epidemia virale che ricorda tanto quella della storica influenza spagnola che ha falciato milioni e milioni i persone nel mondo: ma questa è una altra, drammatica storia…