la nostalgia del… bollito (avvertimento: post lungo, molto lungo)

Per fare un buon bollito serve… una bella tavolata. Quindi, a ristoranti chiusi e pranzi di famiglia proibitissimi (per noi un pranzo di famiglia come si deve parte da 12 persone in su) il vero sapore del bollito è la nostalgia. Vi va di ricordarlo? Attenzione, però: può provocare acquolina in bocca e magari qualche goccia negli occhi…

Il lesso si chiamava domenicale perché si cucinava la domenica, ma non era raro vederselo comparire in tavola palesemente o sotto mentite spoglie tutti i restanti giorni della settimana, con esclusione del venerdì, sacrosanto giorno di magro cui si adattavano per abitudine o per quieto vivere anche i laici e i miscredenti. Già il fatto che per il lesso si usasse il “pentolone del bollito” la dice lunga. A essere sinceri era preparato anche sotto le festività più importanti come Natale, Pasqua e i Santi, ma in questo caso lo si cucinava per ottenere un buon brodo da utilizzare per altri manicaretti e il resto era un di più che certo non veniva gettato via.

Per prima cosa si comprava la carne. Il sabato mattina assai presto arrivava in casa n enorme fagotto di carta da macellaio, quella spessa e color paglia che vediamo più solo come tovaglietta in qualche trattoria.

In genere il fagotto conteneva un bel pezzo di biancostato, che corrisponde alla pancia del manzo (usare il vitello per il lesso veniva considerato uno sconsiderato insulto alla povertà),  un ossobuco, un pezzo di spalla e un pezzetto di girello. Non mancava mai un osso di “giunta” per brodo, preferibilmente un ginocchio, aggiunto come omaggio dal macellaio alla fine dell’acquisto. Va anche detto che il lesso era a volte arricchito da una gallina ex ovaiola cui, per raggiunti limiti d’età, la nonna aveva tirato il collo. Molto significativo era il detto comune: “Se vedi uno mangiare un pollo, o è malato lui o era malato il pollo”. Quelle della nonna erano galline che dopo ore di cottura avevano la carne ancora ben attaccata agli ossi e lasciavano nel brodo degli “occhi” di grasso giallognolo per la verità a noi poco appetitosi al vedersi. Il pentolone del lesso veniva messo suo fuoco: nell’acqua il sedano, la cipolla punta da un chiodo di garofano, la carota e l’osso; a bollore venivano aggiunte le carni, dalle più coriacee alle più tenere. Ore e ore di cottura, poi si poteva apparecchiare. Iniziava allora il rito.

La domenica alla mezza ci si metteva a tavola e compariva il grosso vassoio del bollito spolverato di sale grosso e contornato dalle verdure con cui era stato cotto, accompagnato da patate lesse (cotte a parte), salsa verde (se stagione di prezzemolo), mostarda di Cremona (solo sotto Natale o Pasqua) e maionese rigorosamente fatta in casa e montata a mano: quella industriale allora faceva le sue prime apparizioni in qualche negozio, ma era di gusto dubbio, sicuramente dissimile da quella “vera”, anche se chi lo sosteneva non la aveva mai potuta assaggiare. La senape era a noi quasi sconosciuta, una roba da tedeschi. La sera trovavamo una minestrina leggera fatta con un poco di brodo e pastina: “hai mangiato pesante a pranzo!”. Lunedì risotto “vuoi non approfittare del buon brodo di carne?” La sera zuppa! Che “cosa c’è di meglio per sfruttare il pane raffermo e il brodo di quello buono, di carne, mica di dado già pronto?” Martedì bollito rifatto con cipolle e pomodoro “una leccornia! Più buono che appena fatto!” La sera naturalmente pancotto “c’è sempre troppo pane secco da far fuori in questa casa!” Mercoledì riso in brodo, di volta in volta con verdure di stagione (patate, porri, rape, verze o anche solo prezzemolo). Giovedì polpette o, a piacere, involtini di verza; se la carne avanzata era proprio poca e la stagione lo permetteva, si poteva ripiegare sulle zucchine ripiene. Venerdì, finalmente, di magro. Come si potesse cucinare tante cose con un solo pentolone, seppur capiente, di brodo è presto detto: esso era allungato a ogni preparazione se non altro perché “A furia di scaldarlo si asciuga e diventa troppo salato!” va da sé che la carne avanzata alla fine a furia di ricuocere, era completamente esaurita e andava rinforzata tramutandola appunto in polpette con giudiziosa aggiunta di altri componenti.

 

ESECUZIONE (a futura memoria)

Per un lesso misto come si deve sono necessari troppi ingredienti e troppo tempo rispetto alla disponibilità delle massaie (ma n’esistono ancora?) del giorno d’oggi, e una quantità di commensali per ora irraggiungibile. Anche la nonna si era rassegnata a prepararlo solo per le rare occasioni in cui si riuniva tutta la famiglia, minimo una dozzina di convitati, ed anche in quelle occasioni non lo preparava completo. Una cosa non mancava mai: la testina di vitello che da bambini ci faceva un po’ ribrezzo e la schifavamo; oggi che l’adoriamo fa ribrezzo agli altri commensali per il suo aspetto gelatinoso e ci viene impedito di gustarla… Così è la vita.

INGREDIENTI:

Biancostato: parte della pancia

Garretto: parte della zampa, o un ossobuco molto alto.

Spalla

Girello

Osso di giunta (possibilmente un ginocchio comunque grosso).

Coda

Pollo o cappone (con i ventrigli aperti e puliti)

Lingua (va in ogni caso cotta a parte)

Testina di vitello (come la lingua va cotta a parte da sola).

Sanguinaccio (idem come sopra)

Cotechino (pure lui a parte)

Zampetto (piedino) e coda di maiale (possono essere cotti assieme alla lingua)

L’osso ben lavato si fa bollire lungamente in acqua poco salata (va immesso a freddo) aromatizzata con un paio di foglie d’alloro, schiumando con cura all’inizio del bollore; dopo si toglie e si regala al cane più simpatico dei dintorni dopo aver asportato l’eventuale midollo, buono per preparare il risotto. Nel brodo d’osso così ottenuto, ancora bollente, si immerge la carne sciacquata molto rapidamente sotto il getto d’acqua e asciugata con un canovaccio, a pezzi voluminosi, assieme ad un paio di carote, due gambi di sedano, un mazzetto di prezzemolo con i gambi e due cipolle steccate con un chiodo di garofano. L’acqua deve sommergere di almeno quattro dita la carne. A questo punto la fiamma va abbassata fino a far solo fremere la superficie dell’acqua: il bollito non deve bollire! Si provvede poi a schiumare delicatamente ogni dieci minuti per quattro o cinque volte. La cottura durerà diverse ore, mai meno di tre, secondo la dimensione dei tagli. A tre quarti d’ora dal termine si possono buttare in pentola altre carote, gambi di sedano e cipolle che saranno ottime servite come contorno; assolutamente vietate le patate, esse oltre ad intorbidare il brodo lo renderanno soggetto a inopportune fermentazioni che impediranno di conservarlo e riutilizzarlo più volte.

Il brodo, una volta servito il lesso, va lasciato raffreddare per bene e travasato in una seconda pentola, con molta delicatezza per non sollevare il precipitato che si sarà formato sul fondo. Per ottenere un brodo bello magro basta lasciarlo a lungo in un luogo fresco dove tenderà ad assumere consistenza gelatinosa (è gelatina a tutti gli effetti) e poi levare con una piccola spatola lo strato bianco in superficie; questo grasso un tempo veniva messo da parte e riutilizzato come condimento.

Ecco alcuni altri accorgimenti:

La lingua fresca va cotta intera con tutta la pelle, verrà spellata al momento di portare in tavola; è ottima anche fredda con il bagnetto o aggiunta a dadini nelle insalate verdi. Il suo brodo è inutilizzabile, anche se un tempo si usava per minestroni e risotti.

La testina di vitello va anch’essa cotta a parte, potrebbe essere lessata con la lingua, ma, il suo tempo di cottura inferiore complica la faccenda.

La coda è ottima anche da sola, il suo brodo è delizioso, anche se può apparire un po’ torbido. Per quanto riguarda il pollo andrebbe aggiunto molto dopo il resto degli altri tagli di carne, a meno di non avere a disposizione una di quelle galline vecchie che ricordo: dopo ore in pentola la loro carne era ancora restia a lasciare l’osso.

Il cotechino va forato con un ferretto leggermente più grosso di uno stuzzicadenti e messo a cuocere a freddo portandolo a bollore molto dolcemente, per non farlo esplodere, è inutile avvolgerlo in un telo, se si apre assorbe acqua comunque e tende a sfarsi. Un tempo riutilizzavano anche il brodo del cotechino per minestre e risotti.

Il sanguinaccio andrebbe forato con stuzzicadenti che saranno lasciati infissi nel salume, deve essere portato a bollore ancor più delicatamente del cotechino, se si apre tanto vale buttarlo.

Il piedino di maiale, checché ne dicano altri, va cotto intero, non spaccato in due come si vede spesso; volendo si può aprire e disossare al momento di servirlo