Zambia, 4. I bambini del villaggio si affollano attorno al nostro amico, forse colpiti dalla sua altezza. Ma è la storia di una bambina, una neonata, che vi voglio raccontare oggi. Di una neonata senza nome. Una delle stanze della clinica che abbiamo visitato era il reparto maternità: qui, sul lettino, una bellissima bambina nata da due giorni; accanto a lei la mamma, giovanissima, e la nonna. Chiedo, nel mio inglese da sopravvivenza, il nome della bambina: mi rispondono che non c’è. Penso di non aver capito bene, ma tornando al resort chiedo alla guida della bimba senza nome. Lui, paziente, mi spiega. Il nome dei neonati viene scelto solo dopo la nascita perché non si fanno ecografie, quindi non si sa il sesso, tante le gravidanze a rischio e i parti complicati senza adeguata assistenza: scegliere il nome, quindi significa anche affezionarsi in anticipo a un bimbo che, spesso, non arriva a nascere. Anche per questo il nome viene deciso solo dal padre, qualche giorno dopo la nascita; a volte, ma eccezionalmente, il marito concede alla moglie di scegliere il nome per il neonato; ma non prima di essersi consultata con le donne del villaggio. Nel suo caso, mi racconta, ha concesso alla moglie di scegliere come chiamare uno dei suoi dieci figli, la femmina tanto desiderata: il nome? “Mio desiderio” (non chiedetemi la versione nel dialetto locale). Certo, anche da noi, fino a pochi decenni fa, i bimbi portavano il nome dei nonni, qualunque fosse il desiderio dei genitori: e nella famiglia di mia mamma, per esempio, il primogenito, o la primogenita, veniva battezzato Lorenzo; per cui nell’albero genealogico spiccavano un Lorenzo fu Lorenzo fu Lorenzo… bel nome, certo, ma un filino ripetitivo. Ma la piccola, bellissima neonata nella sua colorata copertina mi ha fatto riflettere su quanta strada abbiamo fatto, quanta ce ne resta da fare, ovunque nel mondo.
La mia africa: la bimba chiamata desiderio
a cura di ELENA MORA