Intervista a Chiara Rapaccini

Mio amato Belzebù, di Chiara Rapaccini, in arte Rap, è un libro bellissimo, intimo e intenso, che racconta non solo la sua storia d’amore con il grande regista Mario Monicelli, ma anche il mondo del cinema italiano degli anni d’oro visto da una giovanissima ragazza fiorentina.

Un amore e una vita intera giocati, letteralmente, con una moneta buttata in aria quando Monicelli le chiede di raggiungerlo a Venezia gioca a testa o croce: testa parto, croce resto. Ma è veramente andata così?

Sì perché in quel momento, data l’età le situazioni tutte abbastanza folli, la mia famiglia, la differenza di età, i decidere con la testa, razionalmente in momenti folli della vita molto meglio decidere che ti mandi il destino,una vigliaccheria: non ho deciso io ma la moneta. Ma credo che succeda a tanti, quando hai da decidere qualcosa che mette in crisi far decidere a una moneta.

Il tormentone del libro è Che ci faccio qui? Dal primo incontro con i grandi divi, Mastroianni e Deneuve, Tognazzi e Noiret, fino al funerale laico del compagno. Ha trovato una risposta a questa domanda?

La domanda non riguarda solo quel periodo, il cinema, Monicelli, ma riguarda me sono una persona che spesso si trova in situazioni rocambolesche, avventurose, mi ci butto e al momento buono mi domando che ci faccio qui?

Il libro racconta di una ragazza di Firenze che si trova catapultata fra Roma New York, Los Angeles accanto ai grandi del cinema e della moda, una specie di Alice nel paese delle meraviglie

Mio amato Belzebù non è un libro sul cinema, non è una biografia di Monicelli, è la storia di una ragazza, io, che è come se raccontasse un mondo molto complesso con i più grandi geni italiani, europei e mondiali, le cose viste da una che non capisce nemmeno quello che le sta succedendo. Non avevo gli strumenti, avevo paura di come vestirmi come parlare, di che cosa dire.

Ed è molto interessante il racconto di come lavoravano quei geni: uno se li immagina tutto il girono a cercare idee, prendere appunti, e invece nel suo libro li vediamo a scherzare, chiacchierare, fare battute, poi improvvisamente concentrati.

Questa poi ho capito che è una abitudine degli sceneggiatori bravi e che poi è una abitudine mia: ionella stanza accatno stavo pubblicando libri per i più grandi editori italiani però l’argomento non era interessante dove tutti avevano conoscenze molto più grandi. Mentre io disegnavo con un orecchio ascoltavo quello che accadeva nella stanza accanto e mi chiedevo come mai questi invece di lavorare, di sfruttare al massimo il tempo, questi non facessero niente, dicessero stupidaggini e dop oho capito che la fase ultima il vero lavoro è l’ultima mezz’ora perché all’ultimo si erano scaldati come una macchina. Una cosa che Mario mi diceva sempre e che non ho mai dimenticato è dopo le sei non fare niente perché il cervello deve liberarsi. Anche le pause pranzo erano lunghissime: ma creavano dei capolavori con i loro tempi.

Nel libro esce il ritratto di una donna forte, anche da ragazzina, anche se non se ne rende conto; una donna che sceglie una maternità per un certo periodo quasi da sola: molto toccante.

Tutti mi dicono che ero forte ma per molti anni non lo sapevo, non avevo la concezione di quello che le sta accadendo; ero in un mondo senza regole ma con istinto animalesco mi chiesi come potevo resistere in mezzo a queste persone così importanti e decisi di rimanere fedele a me stessa e alla mia arte, per me importantissima. Quella sarebbe stata la mia ancora. Non ho mai ceduto a fare cinema che sarebbe stato semplice, chiunque mi avrebbe aiutata. Ma avrei tradito la mia natura, di cui peraltro agli altri non ne importava molto. Questo è anche un monito alle donne portate da un uomo in situazioni che non sono del tutto scelte, rimanere fedele a se stessa. Anche la maternità è stata ome molte donne mi sarebbe piaciuto a quella età, 34, 33, avere un figlio: i motivi per cui Mario era un po’ titubante era solo perché era molto anziano. Io ero sempre un po’ in solitudine, sempre costretta a decidere le cose per me:con l’istinto ho deciso, comunque andiamo avanti; a Mario è passato lo choc dopo pochi giorni, intanto avevo chiesto alla mia famiglia se mio avrebbero dato una mano. Preferisco sempre fare da sola una scelta, sapendo che le conseguenze delle scelte, come molte donne, alla fine è meglio fare da sé perché tanto dopo si gestisce tutto.

Accanto aveva un compagno che amava scomparire, come si racconta molto bene nel libro…

Si: lui odiava i cellulari, diceva che servivano per essere trovati e lui non voleva essere trovato, sorretto. Spariva, ma non con me. Stava molto bene da solo, a volte si chiudeva in casa stava tre o quattro giorni fra un set e l’altro sdraiato in vestaglia. Una volta a nostra figlia a scuola diedero il tema che cosa fa tuo padre e lei lo disegnò disteso a letto, mentre era l’uomo più dinamico del mondo.  Lui bastava molto a se stesso non solo per egoismo ma anche per grande capacità di badare a sé.

Ci sono due scene che lei racconta: una uscita di scena plateale, quando alla festa di inaugurazione della vostra nuova casa lui a un certo punto si presenta davanti a tutti gli ospiti, con la valigia e trasloca nell’appartamento a 50 metri.. L’altra, minimalista, dell’ultima sera, in cui le chiede di cucinargli gli spaghetti grossi.

Due cose che coesistevano in lui: aveva sempre un modo di fare scena madre o scena figlia. La plateale, la prima era fare scena fgilgia: avevamo deciso di separarci, ma non in quel modo, ma era un modo di strizzarmi l’occhio, annche a due che si lasciano ma non si lasciano davvero, il girono dopo ero lì nella sua casa nuova. L’altra un po’ la stessa cosa: nessuno può sapere che cosa avesse in mente quella sera; probabilmente era in uno stato d’animo particolare si che cosa fare della sua vita e della sua morte, e anche lì abbassa i toni, la capacità non solo sua ma della sua intera generazione, dii non prendere sul serio la vita e nemmeno la morte. Erano vecchi, avevano visto di tutto, ma erano giovanissimi di testa.Gente nata nel 15 nel 13, avevano visto la guerra, la fame.

Colpisce questo suo trovarsi, a un certo punto, quasi una marziana in mezzo a una tribù in cui tutti eranopaffetti dalla stessa malattia mortale: la vecchiaia. A un certo punto invece di andare agli aperitivi andava ai funerali.

Non avevo capito che, lasciano la mia famiglia, la mia città, una volta abituata a tutti questi che erano molto vecchi di me ma molto più giovani di testa dei miei coetanei, mi ero abituat, come, un marziano, come ET. Quando mi sono abituata hanno cominciato a morire; questo non lo avevo messo in conto era irrazionale per me. Poi è successo ed ero addolorata, allibita, era troppo!

Racconta anche un incontro con Berlusconi che fa, ai più grandi cinematografari riuniti da lui, previsioni di cui tutti quasi ridono. Ma che si sono avverate…

Non era ancora entrato in politica, e il mondo del cinema di sinistra, lo guardava con snobismo. Lui disse delle cose per cui tutti lo prendevano in giro ma lo stesso Mario rimase colpito perché disse delle cose talmente impossibile, il cinema non esisterà più; si andrà a una prima cinematografica come si va a una prima della scala; era visionaria e irritante per tutti noi. Aveva una visione molto precisa. Era forse anche una forma di arroganza e di potere: ma anche un fatto storico.

Come è stato vivere vicino a un uomo di così grande talento?

C’è un lato mio che era disperato: sentivo di perdere l’anima, ne avevo paura. Poi in tutti i racconti che faccio, a Venexia, nel deserto a New York, appena arrivavo in un posto entravo pienamente nel loro mondo, divertendomi come una matta e forse Mario mi amava anche per quello, Non mi ha mai detto perché mi amasse ma forse gli piaceva questa ragazza che non era per niente incline a vendersi, a godersi solo i soldi, ma attaccata alla sua personalità. Ma anche una che nelle avventure più folli si divertiva moltissimo. Per me è stato molto difficile in certi casi, ma anche incredibile in altri, come nell’ultimo film nel desrto in cui eravamo come due bambini che si divertiovano.

Cè una pagina esilarante in cui racconta tutti i modi in cui Monicelli, vecchissimo, cercava di morire in maniera esotica, di disitratazione nel deserto, in India…

C’è un suo film che racconta di uno che cerca di suicidarsi in 500 modi e non ci riesce mai. Ma la messa in scena della morte da parte di tutti loro era un must per quella generazione. Oggi tutti tremano davanti alla morte: certamente lui vecchio in maniera assurda ne deserto sfidava la disidratazione, senza medico, senza un elicottero per portarlo via, eravamo tuti a letto con la diarrea a lui niente. A quel punto della vita diceva sempre la mia vita è stata maravigliosa e si era anche stifato: niente di meglio conoscendolo, morire in situazioni fighe non nelletto, con la moglie. Temeva il funerale di stato con il suo amico Veltroni, in Campidoglio con la bara e i gladioli aveva il terrore di quella cosa lì. Il suo sogno era morire in India sulla catasta di legno… Amidei, il più grande sceneggiatore italiano mio racconta che cosa è la vecchiaia: un vecchio signore che racconta a una ragazzina di 21 anni ti racconto che cosa è la vecchiaia così ti preparo. Giocare con la vita e la morte come se fossero la stessa cosa. Amici miei cono ciqnue moribondi che per vivere bene gli ultimi vent’anni della loro vita fannop cazzate. E’ un film sulla morte, come ha sempre detto Mario. Lui diceva tutti ridete sulla supercazzola. Quello è un film sulla morte ma pochi lo hanno capito.