Il roastbeef (e la storia) dello zio Silvio

Questa è una ricetta che ha una lunga, lunga storia. La ricetta è semplice e super (anche se un pochino costosa), super d’estate o quando fa caldo. Inorridiranno gli chef patentati, ma funziona, è buonissima e anche chic.
INGREDIENTI
1200 grammi di roastbeef (va bene anche del bello scamone di vitellone, ma con il sottofiletto viene meglio)
un limone non trattato
sale
olio extravergine di oliva.
ESECUZIONE
Come prima cosa bisogna massaggiare bene la carne con le mani con il succo di mezzo limone e sale fino: si formerà una specie di schiumetta bianca. Con uno scottex si asciuga bene la carne e si appoggia a freddo in una pentola con tre cucchiai di olio.
Si fa scottare bene a fuoco alto per 3/4 minuti, poi si abbassa il fuoco, si copre e si lascia cuocere per 15 minuti. Si gira la carne (attenti, solo con due cucchiai, senza forarla con la forchetta) e si lascia sul fuoco di nuovo basso e coperto per altri dieci. Poi si lascia raffreddare nella pentola, salvo poi metterlo in frigo se volete servirlo freddo. Tolta la carne, aggiungete nel sughino rimasto sul fondo il succo di mezzo limone e la buccia di un limone non trattato tagliata a listarelle, facendo bene attenzione a usare solo la parte gialla e non quella bianca amara: scaldatela appena e servitela bella calda in una ciotola a parte.
TRUCCO SEGRETO: a mio genero Stefano non piace la carne un po’ cruda, quindi io glielo travesto da vitello tonnato, frullando la maionese già pronta (ok, inorridite pure) con tonno e capperi. E glielo servo così, ricoperto di salsa che servo anche in una ciotola per chi la vuole. D’altra parte ultimamente tutti i grandi ristoranti di milano usavano per il vitello tonnato la carne ancora un po’ rosa…
La ricetta, con la raccomandazione di massaggiare bene la carne con limone e sale, è in realtà di un mio prozio, lo zio Silvio, emigrato in America quando la famiglia stava letteralmente morendo di fame: parliamo di un secolo fa, quando i migranti eravamo noi. Lui era l’ultimo di dodici fratelli, il più gioioso e giocherellone in una famiglia in cui non c’era molto da ridere e poco da mangiare. A Napoli per guadagnare i soldi e trovare la nave per raggiungere gli Usa, lavorava come sguattero in un hotel lussuoso, lavando i pavimenti e guardando solo le scarpe degli eleganti ospiti del lussuoso albergo. Giurò a se stesso che sarebbe tornato, ma da ospite pagante a farsi servire: diventò un bravissimo chef, lavorò a Milano, negli Usa e in Sudamerica e sì, tornò in quell’hotel. Ma non gli sembrò più così lussuoso…
La morale della ricetta: qualunque crisi, anche la più brutta, finisce. Buon appetito!