IL GUSTO DEL PASSATO

Milano, 2019. Nel fossato del castello sforzesco una donna con un sacchetto di plastica cammina lentamente sull’erba che ha sostituito l’acqua, fermandosi ogni tanto per chinarsi a raccogliere qualcosa e infilarla nella borsa. I turisti giapponesi si fermano a guadarla e dagli spalti, ovviamente, la fotografano. Fotografano, in realtà, una scheggia di passato che, curiosamente, ricompare in pieno centro della metropoli. Con la primavera eravamo invitati dai nonni a salutari passeggiate nei prati o al limitare dei boschi durante le quali gli adulti coglievano l’occasione per renderci edotti delle piante commestibili, fresche e fragranti, che si potevano trovare a costo e chilometro zero. Si cominciava con il luppolo che all’inizio della primavera abbonda al bordo degli incolti, frammisti a rovi ed erbacce: germogli sottili detti luartìs del rampicante con cui viene fatta anche la birra ancora molto diffusi ai bordi delle strade; ma l’inquinamento del traffico ormai li rende inutilizzabili. Con questi, dopo averli lessati, si preparavano frittate, risotti, minestre, ed erano ottimi anche soli conditi con un filo d’olio; in cucina vanno trattati come asparagi e da poco sono diventati molto di moda anche nelle ricette raffinate.
Delle ortiche si raccoglievano le cime più tenere che si usavano non solo in minestre, minestroni, risotti, ma anche nei ripieni. In genere venivano scottate prima dell’utilizzo. Colle ortiche preparava anche una sorta di lozione atta (si diceva) a rinforzare i capelli e prevenirne la caduta.
Le foglie di dente di leone (tarassaco) fresche entravano nelle insalate con le altre erbe oppure, lessate, in frittate, polpette, ripieni, minestre.
La cicoria selvatica dai bellissimi fiori azzurri era apprezzata per il suo sapore amaro, ne venivano usate in casa anche le radici, cotte come le carote, ma in compenso dovevamo sorbirci centinaia di volte la narrazione del suo uso come succedaneo del caffè in tempo di guerra (la radice essiccata, macinata e tostata).
Tutti i frutti selvatici, se stagione, finivano nelle macedonie: more, fragole, lamponi, frutti del gelso, ribes (buonissimo col gelato); ma la macedonia, poiché era arricchita da limone e zucchero, era un lusso da festa o un modo di utilizzare la parte buona di frutti ammaccati o bacati. Saporite e indimenticabili le minuscole fragoline di bosco, che si raccoglievano a mazzolini come piccoli bouquet tutti da gustare; mentre le more erano così abbondanti lungo le rive dei sentieri che se ne potevano raccogliere tante da fare marmellate.
I fiori di robinia possono essere usati per comporre golose frittelle con l’uovo e la farina; i petali di primule così come quelli dei bellissimi grappoli del glicine possono essere mescolati all’insalata.