Ho conosciuto Camilleri… e adorato il suo ultimo libro!

La sigaretta. La voce. Il garbo. La capacità di raccontare. Queste sono le cose che mi avevano colpito di Andrea Camilleri, il papà di Montalbano, quando lo avevo intervistato, qualche anno fa. Ma sono orgogliosa di ricordare che molti più anni addietro gli avevo chiesto un racconto per il giornale per cui lavoravo, Sorrisi e canzoni tv. Erano i primi anni novanta ed era uscito il suo primo libro per Sellerio, La stagione della caccia, il commissario ancora non esisteva né sulla carta né in televisione. Era uno dei romanzi storici, ma a me era piaciuto moltissimo: visto che mi occupavo dei racconti di film per il settimanale, che allora era di grandissimo successo, gli avevo chiesto di tessere per i nostri lettori la trama del film L’uomo delle stelle. Accettò, e lo fece da grande sceneggiatore quale era stato. Ho poi avuto la fortuna di intervistarlo,a Roma, in coppia con l’altra grande sceneggiatrice, la Laura Toscano del Maresciallo Rocca, e ne ho un ricordo pazzesco. Quello di un uomo garbato – “vengo io dalla signora, mi disse, non deve assolutamente scomodarsi lei”. Spiritoso: “se il maresciallo Rocca e il commissario Montalbano si incontrassero, per la prima volta carabinieri e polizia potrebbero collaborare davvero”. Affascinante contastorie: mi raccontò di come mai Livia, la fidanzata di Salvo, vivesse a Boccadasse “perché una volta mi è stata recapitata, non so da chi, una cartolina di una donna che arrivava da quel paese”. Fumavano ininterrottamente, lui e Laura, e tutti e due, il pomeriggio, si riposavano: tanto che con un produttore, ridendo, ci siamo riproposti di provare a fare un riposino il pomeriggio, per vedere se tutto quel talento potesse toccare anche noi. Ma tengo come una cosa preziosa una sua lettera, che mi aveva inviato per posta, qualche anno dopo, rifiutando un invito a un gala organizzato dal giornale. Gentilmente spiegava che si spostava raramente da Roma, ma mi invitava a passare a salutarlo se io fossi tornata nella Capitale. Un invito di cortesia, certo, ma con modi e parole da gentiluomo di altri tempi. Da allora ho letto tutti i suoi libri, ho amato la serie tv, e con qualche preoccupazione ho preso in mano il libro postumo uscito a un anno dalla sua morte, Riccardino. Così diverso già dal titolo da tutti i suoi lavori pretendenti: scritto nel 2005, aggiornato nel 2016, a 91 anni compiuti. E diverso Riccardino lo è. Ma chi ha amato i suoi libri lo amerà ancora di più: perché è l’ultimo, perché è esilarante, perché si chiude con un fuoco d’artificio di trovate (che, ovviamente, trattandosi di un giallo, non posso svelare). Da vero giocoliere di trame e parole, come del resto dimostra il disegno in copertina. E s toglie anche qualche sassolino dalle scarpe, quando l’Autore (come non ricordare i sei personaggi?), dopo aver citato Maupassant, Poe, Foucault, dialoga con Salvo: “io non posso sfoggiare molta cultura, sono considerato uno scrittore di genere. Anzi, di genere di consumo”. E continua: “ma tu lo sai quanti fra quelli che mi accusano di essere un prodotto mediatico vorrebbero disperatamente esserlo? Hai presente la storia della volpe e dell’uva?”. Non ho mai considerato i suoi lavori un prodotto mediatico ma sì, ho disperatamente invidiato il suo talento!