delitti arsenico e vecchi merletti: intervista a Pietrangelo Buttafuoco

I protagonisti dell’ultimo romanzo di Pietrangelo Buttafuoco, Sono cose che passano (La nave di Teseo) sono due coniugi decisamente particolari. Lui, Rodolfo, piccolo paese e piccola nobiltà, vanesio e socialmente e culturalmente inadeguato, lei, Ottavia, principessa di Bauci, bellissima e nobilissima, innamorata del marito ma con molte ombre nel passato.

Un uomo imbarazzante e una donna misteriosa: ma gli uomini sono fragili come il suo personaggio?

“Sono le donne a essere dominanti e determinanti: ma è tipico di quella realtà della Sicilia anni cinquanta, anni di libertà assoluta come una tabula rasa su cui si può costruire di tutto”.

Ottavia è una donna diabolica, verrebbe da dire, visto che il demonio compare sin dalle prime pagine.

“È il deus ex machina, il granello che sta in agguato sull’ingranaggio della vita, nello scorrere dei momenti, dei giorni. Una presenza determinante che bisogna sempre fronteggiare anche perché le persone della vita di ogni giorno, e così i personaggi dei romanzi, non sono mai in bianco e nero ma immersi nella ambiguità e nell’ambivalenza”.

Qui c’è anche molto rosso del sangue…

“Certo: la dimensione profonda dell’elemento onnipresente delle viscere; non a caso è la terra del vulcano”.

Il demone ha il curioso nome di Famelico, come l’amore carnale, come la fame insaziabile di Rodolfo.

“Famelico anche perché è l’istinto primordiale, quello di afferrare, ingurgitare; è quella dimensione profonda che accompagna la nostra identità, la nostra storia, attraverso Dioniso che viene mangiato per placare la fame delle Menadi; l’approdo sacrale è un cibarsi di dio un frutto da mangiare, sbranare, ingurgitare, masticare”.

Oltre al demonio ci sono fate e ninfe. Lei ci crede?

“Tutto ciò che è vero sembra finto tutto ciò che sembra finto invece è vero… Il mondo dietro al mondo è una costante dietro la vita di tutti i giorni mentre siamo distratti dalla necessità di dimostrarci razionali. Le fate, le ninfe, i personaggi che abitano l’immaginazione sono sempre presenti: a volte arrivano a noi sotto forma di canzone, di un profumo, nel baluginare dei riflessi, nella meraviglia dei colori, in un tramonto perfetto. Noi pensiamo che sia solo una combinazione casuale invece è molto spesso la fatica di una fata che lo organizza apposta per noi e a ciascuno di noi dà un ingrediente particolare”.

Il libro ha persino due finali: il lettore può o deve sceglierne uno?

“Un lettore ovviamente li prende entrambi. C’è un finale per l’orizzonte terreno e c’è un finale che si affida alla pienezza dell’eterno. Nel solco della misericordia”.

Il romanzo è dedicato a…

“Alla signorina Lia, mia zia, perché è la custode di tutte queste storie di questi oggetti, di queste teiere e merletti e abiti; e solo attraverso lei si costruiscono le storie. E’ la memoria”.