Rifiorirà la voglia di shopping quando questo incubo sarà finito?

Per due mesi abbiamo indossato solo fuseaux e magliette, nel migliore dei casi jeans, nel peggiore… pigiama e vestaglia. Nell’armadio sono rimasti abbandonati gonne e vestiti, giacche e camicie che in queste settimane di improvvisa clausura sono stati utilizzati solo per una (rara) corsa al supermercato. Ma che succederà al nostro ritorno a una vita normale, posto che dopo tutto quel cucinare, tutto quel pane e focacce e pasta e patate ancora riusciamo a indossarli? “Andrà tutto stretto” ha ben presto ironicamente sostituito lo slogan “andrà tutto bene”, ma anche per chi è stato attento certamente sarà difficile lasciare il comfort di tute e felpe. E come ci comporteremo quando riapriranno tutti i negozi e potremo scorazzare per negozi e centri commerciali come prima? “Ci sarà una ondata di shopping revenge, come lo hanno chiamato nei Paesi dove la normalità è già ritornata” spiega Luisa Ciuni, giornalista e autrice con la stilista Marina Spadafora del libro “La rivoluzione comincia dal tuo armadio” (Cairo editore). “Una voglia di rivalsa che ci spingerà ad acquistare quello che abbiamo desiderato in questi mesi: magari capi da mare, perché la voglia di vacanza è sogno di normalità, o qualche abito morbido che aiuti la figura perché saremo quasi tutti un po’ ingrassati. Questo desiderio di tornare a vestirsi sarà trasversale, toccherà giovani e anziani; ciascuno spenderà secondo il proprio portafoglio, ma sono convinta che si andrà anche un po’ oltre, proprio per lasciarsi alle spalle questo periodo e i pensieri neri che lo hanno contraddistinto. Un po’ come accadde alla generazione dei nostri genitori o nonni dopo la guerra.”. In effetti in Cina e Corea il fenomeno si è già verificato con l’assalto (pacifico) a gioiellieri e i negozi di marchi di lusso in quello che è stato chiamato anche revenge spending, la spesa della vendetta. “Saremo un po’ tutti come bambini che, dopo essere stati chiusi in casa o a scuola, si scatenano correndo in giardino” continua la Ciuni. “Certo, fanno notizia i marchi più costosi o le gioiellerie, ma la voglia di libertà in Cina e Corea ha visto la folla anche nei grandi centri commerciali, nelle catene low-cost”.

Il virus ha portato a riflettere a fondo su temi come inquinamento, ecologia, consumo di territorio e smog: questo si rifletterà anche sulle nostre scelte di abbigliamento? “In effetti, dopo la prima sbornia di shopping una nuova coscienza potrebbe pervadere soprattutto i millennial, la generazione di giovani che sono sempre stati più sensibili ai temi ecologici anche in tema di moda. Questa generazione ne approfitterà per dare un forte senso di cambiamento anche all’interno dei nostri armadi. Dopo un primo comportamento bulimico probabilmente arriveremo a un comportamento più coscienzioso e di maggiore sensibilità al pianeta. Perché lo shock corona virus, che ci ha colpito poco dopo gli incendi che hanno devastato la Australia, ha fatto capire che la situazione del pianeta è grave. Le persone più avvertite hanno capito quanto l’abbigliamento impatta sul pianeta, soprattutto nelle sue componenti low cost : e questo porterà a scegliere prodotti che siano fabbricati tenendo presente le condizioni dell’ambiente in cui viviamo, perché abbiamo capito che nulla è locale nel mondo globalizzato e che tutte le scelte, anche minime o lontane, impattano anche su di noi. Basta pensare che il grande accesso ad abiti e scarpe è tipico degli ultimi cinquant’anni. Per secoli, i vestiti sono stati considerati un lusso, la gente ne aveva pochissimi che faceva durare tutta la vita. Mentre oggi il ben fornito armadio di una celebrity potrebbe di certo rivaleggiare con quello della regina Maria Antonietta. Perché si vende – e si acquista – il 400 per cento di abbigliamento circa in più rispetto a vent’anni fa. Inoltre, se la maggior parte dei prezzi – cibo, casa, bollette, benzina – è salito, il costo dei vestiti è sceso fino a livelli impensabili”.

Ma come fare scelte ecologiche, attente ad ambiente, animali e condizioni di lavoro di chi produce? “Ci sono una serie di marchi anche importanti, che hanno aderito a programmi per cui la loro produzione è ecologica; quando si acquista un prodotto europeo in genere si è piuttosto tranquilli da questo punto di vista. Alcune stiliste, come Stella McCartney e Vivienne Westwood, hanno creato intere collezioni che non sono inquinanti per il pianeta, usando una serie di materiali che possono sostituire pellicce, pelle, cuoio, e non sono inquinanti. E persino la regina Elisabetta, a 94 anni appena compiuti, ha deciso di abbandonare zibellini e visoni nell’armadio e di far sostituire tutte le guarnizioni di pelliccia animale del suo abbigliamento con altrettante ecologiche”.

Nella foto, da Instagram, una immagine della campagna di Stella MCCARTNEY.