anatomia di un cuore selvaggio: la autobiografia di Asia Argento

Una vita esagerata quella che racconta Asia Argento nel suo libro appena uscito per Piemme. Una vita tale che basterebbe la metà di quello che ricorda, e già sarebbe troppo. L’infanzia tormentata in una famiglia disfunzionale, con la pretesa di essere una felice famiglia allargata – padre e madre, una figlia di lui, una di lei e Asia, l’unica figlia di tutti e due. Due sorelle come le sorellastre di Cenerentola; una madre violenta; un padre artista, quasi assente. La droga, gli  uomini, gli amori, il sesso. “Solo io ” confessa alla fine del libro “so quanta forza c’è voluta per diventare quella che sono quanto coraggio per non raccontare mai balle a me stessa, per trascinare per il mondo questo cuore selvaggio, per sguainare la spada ogni volta che un drago ha ostacolato il mio cammino”. E di draghi ne ha incontrati tanti, a volte anche sotto le mentite spoglie di amici o potenti; ha provato e affrontato di tutto, ha usato, confessa, il sesso anche solo per sconfiggere la solitudine.

Mi ha incuriosito in particolare, questo libro, perché l’unica volta che ho avuto a che fare con lei per una intervista, per Diva e donna, mi aveva stupito. Era stata puntuale, precisa, disponibile. A casa, in attesa che i figli ritornassero da scuola, si era presentata come non mi sarei aspettata da un’attrice che ha fatto della sua vita una continua provocazione. “Potremmo passare settimane a parlare di questo mio aspetto da provocatrice, quasi come un caso clinico” mi aveva detto.”Io ho iniziato a lavorare da giovanissima, a nove anni, e da giovanissima ho vissuto le mie ribellioni; poi quando una si mette addosso uno stereotipo è molto difficile levarselo di dosso”. Mi avevano anche incuriosito i suoi tatuaggi, che mi ero fatta spiegare. Un angelo ad ali spiegate sul pube fatto a sedici anni, una collana tribale sul collo fatta dopo la fine di una breve storia con Max Gazzé: “Pause, che ho sul polso sinistro, l’ho fatto quando ho deciso che volevo prendermi una pausa dal lavoro. Non sarebbe bello avere un pulsante Pause come quello dei videoregistratori e fermare tutto e riposarsi per un po’? Saved è il titolo di un disco di Bob Dylan, e in suo onore ho anche tatuato il suo nome, Bob: l’album di quando ebbe una conversione molto spirituale, con messaggi fortissimi: per un periodo non ho ascoltato altro”. Otto ore ha richiesto il fiore di loto sul fianco sinistro, al centro di disegni psichedelici e speculare a un fiore tropicale, lo yagé, sul fianco opposto. Ben 70 ore ha richiesto il tatuaggio che ricopre quasi interamente la schiena, mentre del suo ultimo disegno sulla pelle, una coloratissima peonia all’interno della coscia, si è persino detto che fosse un messaggio di riconciliazione per Morgan: “Niente di così profondo! Mi aveva spiegato ridendo. “Anche se è profondo perché è nella mia pelle… si tratta del primo fatto con una speciale tecnica giapponese, ma non è un messaggio d’amore per nessuno!”.