cinque anni fa, Anna e Andrea

Cinque anni fa era una bella mattina di sole, il dieci giugno, come oggi. Dopo aver fatto gli esami del sangue (mia figlia gravida, non io) e aver comprato al mercato il merluzzo fritto per pranzo (c’è un banchetto al mercato che fa il merluzzo in pastella più buono del mondo), mentre siamo in strada per andare al lago, arriva una telefonata vagamente allarmante. Se possible, dice il laboratorio, contattare subito il proprio medico. Vabbè che sarà mai, si pensa, mentre un sottile senso di panico comincia a correre lungo la schiena. Chiamiamo un amico medico che, con fare tranquillizzante, dice di contattare subito l’ospedale a Milano. Chiamiamo l’ospedale a Milano che dice di andare subito. E lo dice con quel tono finto tranquillizzante che significa “precipitatevi qui!”. Chiamiamo il quasi neopadre dicendogli di tornare subito. Il quale, da bravo ingegnere, chiede spiegazioni. Ma quando una moglie incinta di due gemelli al settimo mese di gravidanza ti dice “Amore puoi tornare subito?” significa che bisogna tornare SUBITO!. Senza chiedere spiegazioni….

Così si arriva a Milano, alla clinica dove è già stato fatto il prericovero. La gravida sale subito in reparto mentre la madre della gravida (io) si occupa delle scartoffie. Vi ricordate che ci siamo precipitati qui, io, mia figlia incinta di due gemelli e mio genero, perché l’ospedale dove erano state fatte le analisi aveva detto di darci una mossa (in maniera più professionale, d’accordo, ma il senso era quello…)? Bene. Io arrivo con tutte I miei incartamenti – in realtà quelli di mia figlia – e la gentile, troppo troppo gentile impiegata della accettazione subito mi sorride dicendo “ah sono arrivati I gemelli! Tranquilla i pediatri sono già andati a pranzo presto, così saranno tutti pronti dopo il cesareo”. Già il fatto che lei sappia dei gemelli, dei pediatri e del loro pranzo non mi lascia tranquilla per niente. In fin dei conti sono due gemelli, mica due marziani, no? Ma devo correre in reparto a portare le ricevute, quindi mi devo concentrare su come arrivarci. Come dice il compagno della mia vita ho un grande senso del disorientamento per cui non mi è facile trovare mai niente. Arrivo nella sala d’attesa in tempo per essere intercettata dal primario che mi poggia una mano sulla spalla dicendomi “Tranquilla, signora, non c’è niente di cui preoccuparsi”. Ed è lì che capisco, da quella mano sulla spalla, che devo preoccuparmi. Anche parecchio.

Ok, risparmio i dettagli anche perché non vorrei mai che una partoriente – o una mamma di – leggesse. Il lieto fine, come potrete immaginare dal tono del racconto che avete letto sin qui, c’è stato. Non prima di quei lunghissimi minuti in cui la vita può cambiare e, di fatto, cambia. La sola idea di avere rischiato di perdere una persona cara cambia priorità, umore e atteggiamento generale. Da quel mattino per me splende sempre il sole, anche se diluvia o la mia Milano è avvolta nella nebbia. Certo, mi arrabbio. Certo, ho i malumori. Ma subito mi riporto alle basi. Le persone che amo stanno bene. Ho riserve infinite di ansia ma riservo il buio a incidenti mortali e malattie inguaribili (d recente ho aggiunto pandemie mondiali). Tutto il resto è benvenuto e benedetto. Così come quei due ranocchietti, poco più grandi di un tacchino, entrati prepotentemente nella nostra vita. Due esserini con un loro temperamento, due gemelli diversi come ogni singolo giorno, da lì a oggi, ha dimostrato. Lei urlante, lui tranquillo. Lei che praticamente si butta fuori dal taglio del cesareo, lui estratto con calma. Tanto che Anna – la gemella impaziente – viene sempre definita, con suo grande orgoglio, la maggiore. Maggiore di due minuti, ma questo non conta. Lui con un ditino storto come la mamma e il nonno, lei no. Lui che la cerca, quando li mettono a dormire nella stessa cullina, lei con la faccia di una che dice “ma dove eri finito?”. Nove mesi – pardon, sette – insieme, a cullarsi nello stesso liquido amniotico, poi improvvisamente, bum!, fuori. La neomamma sta meglio, possiamo tutti rilassarci. In attesa di portarli a casa, momento che sarà il culmine della nostra felicità. Senza immaginare che saranno infiniti i momenti di felicità con loro, per i nonni.